Via Cascina Venina, 7 - 20057 Assago (MI) +39(0)236522962 info@rdlab.it

Invecchiamento_accelerato_FAQ

INVECCHIAMENTO ACCELERATO - FAQ

Risponde il Dr. Maurizio Veronelli, Fisico dei Materiali,  Specializzato in Scienza dei Polimeri al Politecnico di Milano:

Q: Cosa si intende per invecchiamento accelerato?

A: Con il termine 'invecchiamento accelerato' si intende una tecnica che consente di velocizzare il meccanismo di degradazione di un prodotto sottoposto alle condizioni che incontrerà nel suo utilizzo.

Un manufatto deve durare tempi molto variabili, che arrivano in casi estremi anche a 50 -100 anni. L'utilizzo di tecniche che consentono di valutare più velocemente il comportamento di un materiale o di un prodotto, è quindi di  fondamentale importanza per la formulazione ed il controllo di materiali che dovranno durare nel tempo.

Q: Perchè è importante studiare la degradazione dei materiali?

A: Il disastro dello Shuttle Challenger del Gennaio 1986, è stato molto probabilmente provocato da un o-ring polimerico che, a temperature basse, non ha garantito la tenuta del carburante. Anche se non si è trattato propriamente di degradazione ma di limiti di utilizzo di un materiale polimerico, questo esempio fa capire che il miglioramento della conoscenza dei propri materiali può essere di importanza fondamentale.

Anche in questo campo vale il principio: 'prevenire è meglio che curare' e piuttosto che avere chilometri quadrati di teli agricoli degradati precocemente da dover ritirare, smaltire e sostituire, è forse meglio conoscere in anticipo la durata dei nostri materiali.

Di basilare importanza è inoltre l'analisi delle variabili a cui sarà soggetto un prodotto nella sua vita.

Q: Quali sono i principi fisici su cui si basano gli strumenti per invecchiamento accelerato?

A: Non esistono strumenti universali, tuttavia, per quanto riguarda l'invecchiamento agli agenti atmosferici esterni, gli strumenti si basano su fonti luminose che irraggiano i provini, e sulla possibilità di riprodurre e controllare alcune varibili ambientali fondamentali come la temperatura, l'umidità, gli stress termici.

Schematizzando, avremmo quindi una camera a temperatura impostabile, con una sorgente di luce primaria (lampade UV o Xenon, ad esempio), la possibilità di controllare l'umidità ed eventuali stress termici.

Dobbiamo tuttavia considerare che esistono numerosi strumenti che consentono di accelerare la degradazione dei materiali e che si basano su principi diversi tra loro.

La prima cosa a cui si deve pensare è il tipo di variabili cui il materiale sarà soggetto. Se devo progettare un tubo che porta la benzina nella mia auto, dovrò  pensare ad uno strumento che lavori ad una temperatura abbastanza elevata, con campioni immersi in benzina. Se invece voglio valutare il degrado di un pigmento in un profilo finestra, dovrò sensatamente tener conto delle variabili ambientali come luce, temperatura, umidità, inquinamento, etc.

Q: Quanto accelerano le macchine di invecchiamento?

A: E' la domanda che si fanno tutti! La risposta corretta è: 'dipende'. Purtroppo, se ci si ferma a questa risposta, nessuno farebbe prove di degradazione accelerate. L'importante è approfondire il 'dipende' nei casi specifici e con il maggior numero di dettagli possibile.

Ci sono tuttavia alcune considerazioni abbastanza importanti da fare:

1) Le durate, soprattutto per la simulazione di tempi lunghi, sono spesso anche molto elevate e possono superare le 10000 ore di esposizione. Questo non dove spaventare in quanto non sempre è necessario attendere (ed investire economicamente) così tanto per ottenere delle informazioni utili.

2) Tutte le prove devono essere sempre valutate in maniera comparativa e la possibilità di inserire, insieme a materiali ignoti, anche campioni il cui comportamento è noto, è di fondamentale importanza soprattutto per velocizzare le risposte. Se ad esempio devo valutare una nuova formulazione di PVC per fare una grondaia, dovrei prevedere tempi di esposizione molto lunghi, ma, avendo a disposizione un materiale noto che devo migliorare o a cui devo tendere, posso esporlo insieme alle nuove formulazioni e già dopo poco tempo sapere quale nuova formulazione sarà la migliore o la peggiore in termini di durata.

3) Una volta conosciuti i parametri delle proprie macchine di invecchiamento e stabilito il ciclo da utilizzare, ci si può costruire l'esperienza specifica per rispondere in maniera sempre più precisa alla domanda iniziale.

Q: Cosa sono i kLangley?

A: Quando la luce è la variabile predominante per la degradazione dei materiali, la misura dell'irraggiamento artificiale e naturale riveste notevole importanza.

Una tegola montata in Norvegia subirà infatti un irraggiamento medio annuo molto diverso da quello che potrebbe subire, per esempio, in Arabia Saudita.

Esistono delle tabelle che riportano i dati di irraggiamento come MEDIE ANNUALI nelle diverse zone terrestri. Sottolineiamo MEDIE e ANNUALI, in quanto, "poichè non esiste più la mezza stagione", ogni anno è in realtà diverso dagli altri.

A parte gli scherzi, la cosa migliore sarebbe riferirsi a dati misurati da stazioni meteorologiche locali, per conoscere l'irradianza effettiva misurata.

Per tornare alla domanda iniziale, i kLangley sono un'unità di misura internazionale utilizzata per misurare la radiazione solare e corrispondono a 1 kcaloria/cm2.

Poichè 1cal=4,18 Joule, 1 kLangley=41,8 MJoule/m2.

In realtà per dare una misura di irradianza in un determinato punto della terra (esempio: Milano) si usano i kLangley/anno.

1 kLangley/anno corrisponde a 1,33 Watt/m2.

Nella pratica è più semplice: a Milano arrivano mediamente 120 kLangley/anno, in Norvegia circa 70 kLangley/anno e in Arabia Saudita quasi 200 kLangley/anno, misurati su tutto lo spettro solare da 290 nm a 3000 nm.

Ecco che abbiamo un'idea di cosa stiamo misurando: in Arabia la nostra tegola subirà un irraggiamento in un anno corrispondente a quello di quasi 3 anni in Norvegia. Sempre MEDIAMENTE, naturalmente.

Q: Come si utilizzano i k/Langley per l'invecchiamento accelerato?

Non è così semplice! in TEORIA se conosciamo quanti kLangley irraggiano le nostre lampade sui campioni nelle macchine di invecchiamento accelerato, possiamo sapere quanto accelera la nostra fonte luminosa rispetto al sole.

Questi calcoli si fanno normalmente all'interno dei Laboratori  e sono certamente di aiuto; tuttavia dobbiamo considerare anche tutte le altre variabili e non possiamo stabilire quanto acceleriamo servendoci solo dei conti di irradianza..

Come facciamo i conti? Di seguito un esempio:

1) Misuriamo l'irradianza sul campione: ad esempio il nostro strumento con lampada allo Xenon ci da' 0,4 Watt/m2 a 340 nanometri.

2) Dobbiamo riportare l'irradianza, quando è misurata in un punto solo dello spettro (esempio a 340 nm) o in tutto lo spettro. Dovremmo riferirci alle specifiche delle lampade, ma mediamente corrisponde all' 1% dell'irradianza nella regione degli UV (da 290 nm a 400 nm). Nello spettro da 290 nm a 400 nm avremo quindi 40 W/m2.

3) Dobbiamo sapere quanta irradianza arriva nel posto dove esporremo i prodotti, attenzione però, misurata da 290 nm a 400 nm, ovvero nell'UV. Questo dipende dal luogo dove ci troviamo, ma non più di tanto.

A Milano la componente UV corrisponde a circa il 4% dei dati riportati nelle tabelle (da 290 nm a 3000 nm), per cui i 120 kLangley/anno corrispondono a circa 6,4 W/m2. (abbiamo calcolato il 4% di 120 *1,33).

4) Dividiamo i 40 W/m2 (290 nm - 400 nm) con i 6,4 W/m2 (290 nm - 400 nm) ed otteniamo il nostro fattore di moltiplicazione: 6,25 !

5) Infine dividiamo il tempo che vogliamo simulare per il fattore trovato. Ad esempio 1 anno all'esterno / 6,25 -----> 1400 ore nella macchina di invecchiamento.

RICORDIAMO però che non abbiamo tenuto conto di tutte le altre variabili: lo Xenon, che non è il sole, le temperature, l'umidità, etc.

Q: Quanto durano le prove di invecchiamento?

A: Da 100 ore fino a oltre 20000 ore. Ma non bisogna sempre aspettare così tanto. Non è sempre necessario infatti arrivare a completa degradazione e ci sono tecniche di indagine che consentono di valutare lo stato di degrado precocemente.

Come esempio, se vogliamo provare un telo che ricopre una serra, per simulare 5 anni ci occorrono nel migliore dei casi almeno 4000 ore di esposizione; con un'analisi del materiale dopo poche centinaia di ore, possiamo già accorgerci se le cose stanno andando bene o se ci sono già segnali allarmanti, ad esempio registrando uno spettro FTIR, effettuando una misura di trasmittanza o un'indagine microscopica della superficie.

Q: Che tipo di materiali si possono analizzare?

A: Non c'è un vero limite sul tipo di materiali; teoricamente tutti i materiali possono essere posti nelle macchine di invecchiamento. Naturalmente i gas e i liquidi devono essere racchiusi in un contenitore idoneo.

E' invece necessario, per il materiale di interesse, verificare quali sono le normative ed i capitolati che normalmente vengono utilizzati.

Esistono infatti per i polimeri normative specifiche, che possono variare per i pigmenti, per i metalli, per i materiali per edilizia, etc.

Q: Che dimensioni e forme devono avere i provini da sottoporre ai test?

A: Un provino abbastanza universale per le prove di invecchiamento è una placchetta piana di 5cm x 10cm, con spessore non superiore a 1 cm.

Dovendo esporre molti provini, o quando ci sono problemi di spazio, si possono ridurre le dimensioni ma, in casi specifici, si possono esporre anche pezzi finiti molto grandi (ad esempio una sella da motocicletta intera).

Volendo esporre pezzi finiti, nel caso di invecchiamento alla luce, si deve considerare che le sorgenti di luce sono fisse all'interno delle macchine, per cui i campioni verranno irraggiati normalmente da una certa direzione (esistono anche macchine che fanno ruotare i provini, ma in questo caso i tempi di esposizione si allungano proporzionalmente).

Generalmente, conviene analizzare bene l'obiettivo della prova e regolarsi sulle superfici minime necessarie.

 Q: Come si può valutare la degradazione nell'invecchiamento accelerato, senza aspettare la fine delle prove?

A: E' possibile fare diverse cose, a seconda del materiale che sottoponiamo al test.

In generale ci sono misure che possiamo eseguire già nelle prime decine di ore di invecchiamento, per capire qual'è l'andamento del test.

Inizialmente, si  possono eseguire misure di colore con spettrofotometro e si considerano i valori L*,a* e b* risultanti dalle misure spettrofotmetriche. Alcuni indici spesso utilizzati che si ricavano dalle misure di colore sono l'indice di bianco (WI) e l'indice di giallo (YI).

Si può inoltre monitorare il chimismo della degradazione con misure FTIR e Raman in funzione del tempo.

Se si ha necessità di un dato meccanico, si possono eseguire prove meccaniche periodicamente (urti o trazioni generalmente), sempre ricordando che le prove meccaniche sono spesso distruttive e richiedono un numero elevato di provini per ogni prova. Il rischio è quindi quello di dover esporre un numero di campioni molto elevato.

Anche l'analisi al microscopio ottico o elettronico della superficie irraggiata può fornire utili indicazioni.

Q: Quanto costano le prove di invecchiamento?

A: Le prove di invecchiamento sono sempre prove lunghe, per cui si ha spesso la sensazione di dover affrontare costi elevati.

In realtà non sempre si devono investire grosse somme, soprattutto se le prove sono precedentemente ragionate e definite nella maniera più efficace.

Se devo simulare per esempio 10 anni  di invecchiamento su 5 formulazioni diverse, posso come prima fase simulare molti meno anni ed avere ugualmente una buona informazione sul 'ranking' tra le diverse formulazioni.

Inoltre RDLab137 adotta la strategia del: minor spazio occupato, minor costo delle prove.

Non esitate quindi a contattarci: saremo lieti di considerare insieme a voi il vostro problema ed a cercare la miglior soluzione al costo più contenuto.

 Q: Cosa devo chiedere a RDLAB137?

A: Per prima cosa chiarire l'obiettivo e, per quanto posibile, il motivo che spinge a considerare l'esecuzione di prove di invecchiamento.

Una volta definito l'obiettivo, definire quali e quanti campioni dovranno essere sottoposti al test,

Avere quindi un'idea delle dimensioni minime, ma significative, dei campioni da analizzare.

Pensare a quali saranno le variabili principali da simulare e se ci sono dei parametri (tipo di lampade, temperature, umidità, etc.) già definiti.

Infine, anche se non avete nessuna informazione, semplicemente chiamarci o scriverci esponendo il vostro problema!

 Ultima revisione: 19/09/2023

 

 

 

RDLAB137 srl

Via Cascina Venina, 7 Edificio S - 20057 Assago (MI)

Tel. 02.36.52.29.62 - e-mail: info@rdlab.it  PEC: rdlab137@postecert.it      

p.iva: IT09709410964  - Cod. Destinatario: T9K4ZHO

Tutti i diritti riservati - All rights reserved

SCARICA LA NOSTRA BROCHURE

FOLLOW ON: